La carchiola lucana e l’identità di un popolo

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carchiola lucana sulla sua griglia di cottura

La Fortuna e la Sfortuna si alternano nella Storia in modo imprevedibile e bizzarro, così ciò che prima era povero poi diventa ricco e quanto era considerato miserevole diviene “alla moda”. E’ proprio quello che è successo alla carchiola, una focaccia azzima di origine aviglianese fatta con semola di mais che, se nei secoli scorsi era il simbolo alimentare dei poveri e degli affamati nonché loro pane, oggi è diventato un ricercato street food: un emblema della gastronomia lucana di cui ogni miglior ristorante non può fare a meno nel suo menu. La carchiola sembra incarnare quello che da un po’ di anni è capitato all'intera Basilicata: per secoli considerata terra di miseria, di terremoti e colonizzazioni, in cui era facile perdere quella “presenza” che conduce nella realtà della Storia per rischiare di dissolversi nel Mito di danze e rituali magici; oggi la Basilicata è indicata nella migliore stampa nazionale e internazionale come “terra incontaminata e selvaggia ancora da scoprire”, in cui assieme agli incantesimi della Natura e delle sue tavole si aggiungono perle culturali e innovative come "Matera Città della Cultura 2019”. La Carchiola, Matera e la Basilicata da “entità” di cui vergognarsi a capolavori del genio umano e “divino”.


La carchiola e i suoi “miseri” natali

I vinti dalla storia sono quelli che si nutrono, i vincitori sono quelli che ostentano tavole luculliane e pance lussureggianti. La carchiola sta agli sconfitti contadini come il pane sta ai ricchi “signori” latifondisti che sul lavoro delle braccia e sulla pancia vuota dei braccianti hanno creato il proprio regno. La carchiola, infatti, è frutto dell’immaginazione e della creatività che la necessità di sopravvivere hanno fatto germogliare nel povero popolo lucano. La sostituzione del mais al posto del grano era un bisogno, in quanto quest’ultimo era così prezioso che veniva utilizzato come moneta di scambio nei contratti e negli ingaggi a giornata. Il pane compariva solo nelle mense dei proprietari terrieri, mentre per i lavoranti della terra si usava un pane fatto di un misto di orzo, legumi segale e biada. Fino alla metà del XX secolo in Lucania la carchiola continuava ad accompagnare le minestre, mentre il pane di grano veniva riservato solo ad anziani, malati moribondi e bambini. 

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coppa di metallo con cui si copre la carchiola e si mette sotto i carboni ardenti

La carchiola nasce per nutrire i suoi creatori e lo fa sia per l’economicità della materia prima e del suo metodo di cottura che per la rapidità dei tempi: cotta direttamente sulla brace, dunque non era necessario recarsi nei forni comuni pagando per la cottura, aveva anche una preparazione rapidissima.
Le donne di Avigliano, ieri come oggi, dopo aver impastato l’acqua bollente con la farina di mais, spianavano l’impasto in forma circolare e lo ponevano a cuocere sulla brace del camino, grazie a una griglia di forma circolare con un perno centrale che dava la possibilità di girare la carchiola senza spostarla dal fuoco, la coprivano poi con una coppa di metallo, su cui si metteva altra brace ardente (così da ottenere un “effetto forno”). Probabilmente è proprio la coppa di metallo ad aver dato il nome all'ormai famoso pane dei poveri della Basilicata, tale strumento in latino è il “carchèsium” da cui “carchiola”. L’ingegno del bisogno ha poi creato nell'immaginazione dei bravissimi artigiani aviglianesi l’altro strumento indispensabile per cuocere questo “pane del popolo”: i maniscalchi della geniale Avigliano forgiarono la “r’ticula”, la griglia circolare per cuocere la focaccia in modo uniforme e girarla senza scottarsi.

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cottura della carchiola

La carchiola e il mais in Basilicata

La carchiola, figlia geniale della penuria, è venuta alla luce grazie al “padre” mais. Si presume, dunque, che la sua data di nascita risalga al XVI-XVII secolo, quando i coloni di rientro dalle Americhe lo introdussero localmente. Il cosiddetto “ granturco ” si affianca subito ad altri grani e legumi locali, in quanto strumento indispensabile per il sostentamento della popolazione in aumento. Si ritiene che le prime coltivazioni di mais nell'Italia meridionale (secondo le testimonianze verbali tramandate da diverse generazioni) risalgano al periodo dell'acquisto del feudo di Avigliano dai Doria di Melfi (che ottennero anche il titolo di Duca di Avigliano).

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mais

L’altitudine e le caratteristiche del terreno non permettevano di coltivare ortaggi e frumenti, così fu sperimentato il mais e risultò tra le migliori colture che attecchirono. L’opera infaticabile dei contadini, come preziosi “custodi”, ha conservato ecotipi locali di mais, dai quali oggi è possibile ottenere la carchiola. Questo pane dei poveri è così mitico da far nascere anche una leggenda sulle sue origini che, anziché direttamente connesse all’America e all’importazione di mais, le vuole radicate nel 1694, quando un terremoto distrusse Avigliano. In quei tristi giorni, una mamma per sfamare i suoi figli preparò un impasto di acqua e farina di granoturco e poi lo fece cuocere direttamente sulla brace. I suoi figli non morirono, così come la vitalità e l’ingegno di quel popolo non perirono sotto le macerie della Storia.  

 La ricetta della carchiola

La carchiola è stata certificata un Prodotto Agroalimentare Tradizionale della regione Basilicata (PAT) dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, le sue caratteristiche sono di essere una "focaccia azzima; non lievitata; tradizionalmente cotta sulla brace nel camino; realizzata con farina di mais”.

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carchiola


Ingredienti

400 g di farina di mais
Acqua bollente
Sale

Preparazione

Disponi la farina a fontana sulla spianatoia con un pizzico di sale e versa poco per volta l’acqua bollente, impastando energicamente. 
Con l’impasto ottenuto forma una schiacciata spessa un paio di centimetri di forma circolare. 
La tradizione vorrebbe che a questo punto tu adagiassi la focaccia cruda sulla graticola circolare e la facessi cuocere direttamente sulla brace del camino, coprendola con una coppa di metallo e sommergendo il tutto di carboni ardenti. Ma se così non ti è possibile, puoi cuocere la carchiola in una padella antiaderente, senza condimenti; quando sarà diventata bruna, giratela dall'altra parte. 

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carchiola con zuppa

Per la degustazione:
La tradizione ha sempre combinato la carchiola con zuppe, specialmente di cavolo nero, o comunque piatti “bagnati”, vista la sua congenita secchezza. La modernità culinaria e lo street food  la interpretano farcita di salumi e formaggi, o di qualunque altro ingrediente buono per un panino o una piadina.

A te la scelta: il passato o il presente, la storia o il mito ;-)

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