Dalla cucina al cielo: Natale 2020 questione climatica in attesa

Botticelli, Natività mistica, 1501. Tempera su tela, 108,5 x 75 cm. Londra, National Gallery. 


Caro Babbo Natale, per questo Solstizio d’Inverno così strano a memoria d’uomo, in cui l’intero globo terrestre si trova a dover combattere contro un nemico comune che non fa differenze fra poveri o ricchi, bianchi o neri, grassi o magri, portami la Speranza. Portamela col fiocco o senza, con le renne o col corriere dei siti e-commerce. Non la speranza che il vaccino ci liberi tutti ma la speranza che noi uomini possiamo essere il vaccino dopo essere stati la malattia: l’infezione per questa Madre Terra che, stanca di farsi contaminare dal suo parassita umano, ha chiamato a raccolta i più piccoli e numerosi dei suoi figli per depotenziare il virus più letale che depaupera le sue forze e soffoca il suo respiro: il virus uomo.

Nell’antica Grecia la parola che indicava il “cuoco “ e il “cucinare” era la stessa che indicava il “macellaio” e il “sacerdote”, ovvero mageiros, termine che ha la stessa radice etimologica di magia. Il cuoco e il mago, dunque, hanno la stessa origine: entrambi conoscono i segreti per trasformare un singolo ingrediente in una “pozione” più complessa di elementi tale da “incantare” gli animi e i palati. Il cuoco e il sacerdote, invece, hanno lo stesso scopo: quello di “sacrificare” un animale, ma anche un vegetale, per far salire i fumi verso i cieli e comunicare con gli dèi. Il profumino del fuoco, che trasforma la vita in qualcosa che nutre e vivifica altra vita, fa cantare il dio che è dentro l’uomo e lo restituisce ai suoi commensali più “armonioso” e amabile. Da questo antichissimo “sacro-fare” nasce il confine tra uomo e animale: il sacrificio, e la magia trasformativa che ne deriva, danno origine al primo atto culturale della storia: cucinare. Nient’altro che parlare con gli dèi tramite l’unico codice a disposizione: la Natura.

Ma cucinare non può essere solo qualcosa che guardi in tv, mentre poi ti nutri di pasti preconfezionati o compri “roba” al supermercato e via, senza sapere da dove viene, chi l’ha coltivata e quando è la stagione giusta per raccoglierla e consumarla. Il cuoco non è solo una delle star del nostro tempo, è soprattutto un individuo, uomo o donna, che conosce il ritmo del tempo, non perturba l’equilibrio dei cicli stagionali, ha a cuore la Terra, l’Acqua, l’Aria e il Fuoco perché sono i quattro grandi elementi che governano i suoi ingredienti. Non c’è magia se non esiste salute dei quattro grandi generatori di vita e non esiste un buon piatto se l’ingrediente ha patito le sofferenze di uno dei quattro. Ci interessa il cuoco come star, il voyeurismo del cibo, lo show cooking proprio quando la maggior parte di noi non cucina più, anzi si fa portare tutto a casa, senza nemmeno imbandire la tavola, basta aprire la porta e prendere ciò che arriva nella scatola. È il caso di dire “a scatola chiusa”, perché se non si cucina più ma ci si accontenta di mangiare cibo pre-confezionato, pre-cotto, pre-ordinato…. si perde tutta la magia che è contenuta in quel “pre”: conoscenza della natura, dei suoi frutti ed equilibri necessari affinché Lei continui a essere Madre per tutti e non solo della specie umana. Sono tempi, questi, in cui il “sacrificio” da gesto sacro diventa rimorso, mancanza, nostalgia per un’Armonia a cui appartenere. Il sacrificio smette di comunicare col cielo e si trasforma, nevroticamente, in ingordigia, consumo e patologia di un qualcosa che, anziché nutrire la vita, la fagocita senza nemmeno curarsi dello scarto che ne deriva. Consumo di terra, dispendio di acqua, irrespirabilità di aria e fuoco smodato.


Copertina del libro: "L Assemblea degli Animali" Filelfo, Einaudi

Proprio dai grandi incendi che hanno devastato l’Australia dal giugno 2019 al maggio 2020, provocando la morte di quasi 3 miliardi di animali, Filelfo fa partire la Nemesis della Natura contro il suo parassita più atroce: l’uomo. È stato un consumo di vita imperdonabile, l’ultimo non-sacrificio che questo animale culturale ha perpetrato verso le altre specie. C’era bisogno di una punizione, o di un avvertimento… così il popolo del Re dei Topi, coadiuvato dal cugino alato, il popolo dei pipistrelli, ha creato un virus letale, che può soffocare colui che sta soffocando tutto il resto che si chiama Vita: voilà la pandemia. Voilà la fine di tutto o l’opportunità per l’uomo di raggiungere ancora le stelle, di essere il Mago di questo pianeta. L’ “Assemblea degli animali” è stata convocata e a nulla è valsa la difesa della “gatta bianca” e del “cane Momo”, il verdetto è dato: l’umanità è colpevole! Colpevole di aver avvelenato l’Aria, sterilizzato la Terra e fatto sciogliere le Acque, rendendole sempre più acide. Colpevole di usare il Fuoco e la sua energia, devastando foreste e habitat naturali, solo per far correre i propri mezzi e far sputare veleno a quei draghi metallici chiamate fabbriche ed economia assolutamente non sostenibile. Colpevole, con le sue azioni egoistiche, di causare l’olocausto degli altri inquilini di questa grande casa comune chiamata Terra, gli animali e le piante. Colpevole, soprattutto, del peccato più grave: aver dimenticato di essere parte del Tutto, di appartenere a quel giardino divino che è la Creazione. Il peccato dell’oblio ha causato la sua cacciata dal Paradiso e la sua insaziabile fame di “senso” :

“Ma, ci si potrebbe domandare, che cosa avevano fatto di sbagliato l’uomo e la donna per essere cacciati così ignominosamente dal giardino? Su questo punto le versioni divergono. Secondo una variante del mito, la loro colpa era stata rubare il frutto proibito - mela, fico, melagrana? - dell’albero della conoscenza. Mangiandolo avevano conosciuto il segreto del bene e del male e di qui il castigo. Ma come avrebbe potuto un frutto nato dalla perfezione che allora governava la natura avere in sé qualcosa di proibito? E soprattutto, le specie animali, incluso l’uomo, non possedevano già la conoscenza? Non sapevano già distingue il bene dal male? Non avevano continua memoria di questa opposizione, che governa l’universo? E come potrebbe essere una colpa, il conoscere? 

Forse la tara originaria dell’essere umano non era la conoscenza, ma, al contrario, la dimenticanza. E non veniva dal frutto dell’albero ma dall’acqua, che non può essere contenuta in nessun vaso, di un ruscello chiamato Lete, che scorreva lì sotto, al quale la donna e l’uomo avevano bevuto. Questo li aveva resi diversi dagli altri animali, che si erano guardati dall’abbeverarsene, mentre gli umani avevano trasgredito al loro istinto.

Non vi è sciagura più grave della dimenticanza. L’uomo, assaggiata quell’acqua, aveva perso nozione del suo stato. Aveva cominciato a considerarsi umano, ossia un animale che però è altro dall’animale. A poco a poco aveva dimenticato tutto ciò che le bestie ricordavano e ricordano ancora dell’abissale passato, delle ère, delle glaciazioni e dei disgeli, dei diluvi e dei terremoti, del ricorso delle comete e dello schianto dei meteoriti, dell’emersione delle terre, del loro sussultare e plasmarsi in continue metamorfosi. Aveva smarrito memoria dell’aggregarsi e coagularsi di acqua, aria, terra e fuoco in composti mutevoli, come il caglio fissa e lega il bianco latte, o in India il sacro ghī. Avevano dimenticato la mescolanza e quella separazione di cose mescolate che dagli umani è chiamata nascita” 

(“L’assemblea degli animali. Una favola selvaggia”, Filelfo, Feltrinelli, novembre 2020)

qui sotto il link all'incipit del libro

"L'assemblea degli animali", Valerio Mastandrea legge la fiaba di Filelfo

Tornare a praticare l’antico sacerdozio della cucina in ogni casa significa “ricordare”: ricordare da dove veniamo e cosa ci tiene in vita, e quale delicato e raffinato equilibrio bisogna far raggiungere ai vari ingredienti da mettere insieme nella pozione del Nutrimento globale. L’antica magia che trasforma il “crudo” in “cotto” deve contribuire a guarire ciò che abbiamo ammalato, solo così il primo gesto culturale dell’umanità potrà evocare Mnemosine e ricordare l’antico linguaggio che le permette di comunicare con le Stelle:

“La maggior parte di ciò che sul mercato si mostra a noi come un prodotto è in realtà una rete di relazioni: fra esseri umani, certo, ma anche tra noi e tutte le altre specie dalle quali ancora dipendiamo. Mangiare e bere, in modo particolare, sono atti che ci legano al mondo della natura in modo che l’economia industriale, con le sue filiere così lunghe e indecifrabili, vorrebbe farci dimenticare. Non appena sono io a produrla, mi ricordo che, in ultima analisi, la birra in quella bottiglia non viene da uno stabilimento, ma dalla natura: dall’orzo che sbatte sferzato dal vento in un campo, dal luppolo che s’arrampica su un pergolato, e da un esercito di microbi invisibili che si rimpinzano di zuccheri. Per produrre la mia ale, occorre la collaborazione attentamente orchestrata di tre regni tassonomici molto distanti: piante, animali e funghi. Produrla ogni tanto in proprio - maneggiare l’orzo e inalare l’aroma del luppolo e del lievito - diventa, tra le altre cose, una forma di cerimonia, un rituale della memoria …La fermentazione, come tutte quelle altre trasformazioni che chiamiamo cucina, è un modo per declinare la natura, per ricavare da essa, ben al di là del nostro sostentamento, qualche prezioso supplemento di significato”

(“Cotto”, Michael Pollan, Adelphi, 2014)


#CARIUMANI Lettera dalla Naturacon la voce Giacomo Ferrara 


 

Babbo Natale, dunque, porta me e a tutte le mamme e a tutti i papà la Speranza di consegnare un sogno  tra le mani del proprio figlio. Il sogno di potersi ricongiugere alla stella da cui si è staccato per venire qui da noi, in Terra, chiamato dal nostro de-siderio, che, come tu ben sai, non è altro che la mancanza (de) delle stelle ( sidus, sidera). Portami la Speranza che la stella più desiderata, mio figlio, in questa traversata terrena possa assaporare tutta quella “magia” che lo condurrà a “desiderare” il proprio sogno, a invocare gli dèi e, infine, a rispondere alla voce delle stelle che lo generarono.

Tu scendi dalle Stelle, oh Re del Cielo….


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