Bilbant, Trivigno svela il segreto di questa pasta tradizionale

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Bilbant di Carmela Albano di Trivigno

 

Capita a tutti di essere sedotti dal suono di una particolare parola, come se quell’assonanza rievocasse qualcosa nell’anima o nella radice del proprio essere di cui non si riesce ad afferrare il “senso”. A me succede col nome “bilbant”, un termine che è quasi uno scioglilingua, a maggior ragione se è solo con la lingua che se ne può fare esperienza: è un particolare formato di pasta tradizionale della Basilicata e di Trivigno, oscuro nella sua etimologia ma gustosissimo nel piatto. 


I bilbant, un segreto da "birbante"

Ho frugato tra le radici del greco antico. Ho chiesto a un esperto di lingua arbresh, pensando al fatto che Trivigno è stato ripopolato da genti balcaniche (1514), Greci e Albanesi. Ho anche immaginato una radice comune col basco “Bilbao”, forse parente del “Bilbo” di Tolkien, altri termini che fanno arrovellare le menti… ma poi il suffisso -ant? Insomma la parola “bilbant” pare un rompicapo che serve a sciogliere la lingua. Finalmente, da pochi giorni, parlando con un’amica trivignese, sono venuta a conoscenza di un contesto linguistico e semantico che potrebbe portare a un’ipotesi risolutiva. Solo un’ipotesi, ma affascinante e “gustosa” comunque. 

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Carmela Albano e l'impasto dei bilbant


Carmela Albano, una donna ricettacolo di un’infinità di aneddoti, memorie e saperi del passato trivignese, mi racconta che la “bon’anima” (defunta) Anna De Marco le “passò” la ricetta tradizionale di Trivigno e il nome in italiano del particolare formato di pasta: i bilbant in italiano si chiamavano “piccoli bambini” poiché le mamme del passato li preparavano esclusivamente per i più piccoli. I bilbant, infatti, accontentavano diverse esigenze delle mamme di un tempo: erano all’uovo, dunque molto nutritivi; erano gustosi, perché fatti col pecorino nell’impasto; erano piccoli, come una pastina ante-litteram, quindi facili da deglutire per un bambino, soprattutto nella fase dello svezzamento; infine, ma importante, erano rapidi da preparare, poiché non andavano formati ma solo grattugiati. «E quando la mamma li preparava – Carmela riporta fedelmente le parole le diceva Anna- stavano sempre intorno quei piccoli “birbanti”». Ecco svelato l’arcano: bilbant sembra essere la trasformazione dialettale di “birbante”, in cui la liquida “l” ha preso il posto della “r” e, come quasi sempre accade nei dialetti meridionali, la desinenza “e” è caduta. La cosa più simpatica, che sembra rafforzi questa ipotesi birbona, è l'etimologia incerta di "birba": per alcuni  trae origine dallo spagnolo "briba", che a sua volta deriva dal celtico "briw": pezzo, tozzo di pane; per altri le radici risalgono al tedesco "bilibi-bilifen": pane, nutrimento. Insomma, bilbant: che cibo birbante!


guarda il video: i bilbant a Trivigno 



Alla simpatica discussione sull'origine dello strano nome "bilbant" si aggiungono anche i contributi di altri due trivignesi e uno studioso di albanologia. La poetessa dialettale Fiolanda Loreto, molto impegnata nel recupero della tradizione orale di Trivigno, sostiene di aver appreso da un vecchio documentario Rai che l'oscuro termine significa "mille fanti": "mille perché ne sono tanti e  fanti (forti, coraggiosi) perché sono molto nutrienti". L'altro trivignese Vito Luongo, ricercatore della storia locale, aggiunge che la madre pronunciava il termine con un raddoppiamento fonetico della seconda "b", così che la pronuncia diventa "bilbbant". Infine, ma molto verosimile, c'è la versione dell'albanofono Pietro Abitante, che individua: " 'bil' come probabile  plurale della parola 'bir' (figlio), che nello shqip diventa 'bijë' e nell'aljbërisht (l' arbërisht italiano) 'biljë' (figli). E 'bant' - aggiunge Abitante -  potrebbe derivare da 'bërë' (fatto), che nel dialetto ghego si dice 'bãn' senza il rotacismo sia della elle elle in erre e della "a" nasale in 'ë'. Quindi - conclude l'abanofono-  'fatto per i propri  figli' ". Questa versione risulta più complicata a chi non è di origine arbresh, ma sicuramente interessante... 
Quante domande, dubbi e storia passa nelle "parole che mangiamo"!

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Bilbant, la ricetta tradizionale

Carmela, generosa e gentile come sempre, non solo mi ha svelato il “segreto trivignese” dei bilbant ma me li ha anche preparati come l’antica ricetta di Anna De Marco prescrive:

ingredienti

1 uovo per ogni 100 g di semola rimacinata 
20 g di pecorino per ogni 100 g di semola
1 ciuffo di prezzemolo 
Sale q. b. 

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come grattugiare i bilbant


Sulla spianatoia fai la classica “montagnella” di farina, poi crea un foro al centro e versaci le uova sbattute col sale. Sempre al centro della farina, aggiungi anche il prezzemolo ben tritato, il pecorino. Impasta il tutto fino a ottenere una palla liscia e soda. Avvolgila nella pellicola e lasciala riposare almeno 30 minuti. Dopo il riposo, lavora la palla d’impasto fino a ottenere un lungo cilindro che, a sua volta, deve essere tagliato in pezzi maneggevoli da impugnare e grattare… Ci vorrebbe l’attrezzo artigianale adatto, la grattabilbant, ma non si trova quasi più, purtroppo, puoi sostituirla con grattugie da buchi larghi o quella per fare gli spatzle (dei bilbant in veste tirolese). Distendi i bilbant su un piano infarinato e lasciali riposare un paio d’ore, devono seccarsi un po’. E ora fai bollire abbondante acqua salata, versaci i bilbant e scolali appena salgono a galla. Come condirli? Il loro condimento ideale è il brodo, ma anche con i legumi sono fantastici.

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