Il piatto della pace: ciambotta lucana con couscous
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ciambotta lucana con couscous |
Se tutti ci mettessimo nella coccia (testa) che la pace è una necessità e che l'unico nemico è comune e si chiama "cambiamento climatico", nessuno oserebbe sporcare l'aria di tutti con bombe, gas tossici o energie sporche dannose all'intero pianeta. Non è la Russia o l'Ucraina di oggi ma la sopravvivenza dei sapiens di domani. Un domani troppo vicino per ricominciare a giocare a vecchi imperialismi, decrepiti quanto i giocatori, o a stupidi nazionalismi... Se la casa comune crolla, quale nazione avrebbe la garanzia di sopravvivere alle macerie? Avanzi di vecchie logiche geopolitiche che vogliono salvaguardare confini o compattare alleanze in un pianeta che ha bisogno di un solo patto che racchiuda tutti gli oceani e tutte le terre: quello per arrestare il tumore che l'uomo ha generato al pianeta e che dal pianeta torna all'uomo. Abbiamo pochissimo tempo, solo vent'anni, usiamoli per curare e non per ferire. Insaporiamo la vita. Il fuoco fu dato per nutrire non per uccidere. Ecco come nutrire la pace anche dalla Basilicata: una ciambotta con couscous per un prometeico tavolo di nazioni.
Il piatto della pace e la ciambotta lucana
In questi giorni di "ritorno al passato" potremmo tutti usare il fuoco per cucinare il piatto simbolo della pace, il cuouscous, e poiché io sono lucana lo arricchirò con una preziosità della Basilicata: la ciambotta o ciammotta che voglia dirsi. Ma prima di accendere i fornelli, mi piacerebbe tornare al "fuoco" simbolico che questo piatto si porta dietro da secoli di umanità: un Prometeo di Pace che ha attraversato tutto il Mediterraneo per giungere fino all'Oceano di Bahia e, viaggiando, ha dissolto in tavola tutte le differenze e gli odi in terra. Da sempre presente nelle mense dei Tuareg e del Maghreb, dall'Africa subsahariana è poi approdato in Libia, Tunisia, Marocco, Sicilia e la brasiliana Bahia. Per Pellegrino Artusi è di derivazione ebraica... insomma come ogni grande mito, non si conosce l'origine certa del couscous. L'unica certezza è la sua valenza, quasi mistica, capace di mettere sulla stessa tavola i tre grandi monoteismi in guerra tra loro alla ricerca di una radice comune: la fratellanza dei popoli. Come per i singoli granelli di semola trasformati in couscous, così l'uomo è unico e irripetibile nella sua individualità ma è il nulla senza la "sabbia" da cui nasce e con cui si nutre: l'umanità intera. Come per la creazione del couscous, gli uomini si "incocciano" insieme, in un movimento rotatorio, quello terrestre, che li raccoglie, li abbraccia, li unisce. E' il tocco lieve dei polpastrelli della mano che, con una carezza, ingrossa la semola dissetandola dell'acqua della vita. Il movimento circolare riproduce la dinamica della vita e ne sfiora delicatamente l'anima, tanto che Salomone curò il suo mal d'amore proprio col cuouscous. Il rimedio fu un piatto pieno di un altro tipo d'amore: quello universale. Non è un caso che, dal principio a oggi, il cuouscous si mangia in compagnia, seduti attorno a un unico piatto. Bisogna costruire il cerchio intorno all'unico pasto, unico visto dall'alto ma composto da miliardi e miliardi di singoli granelli quando vai a sfiorarne l'anima. Un popolo, un impero, un’alleanza, un continente, un confine... distorsioni di una miope visione, per giunta riportata in scala su una cartacea mappa. Bisogna vedere e costruire la pace, fatta di singoli e piccolissimi granelli da "incocciare" insieme, se davvero non si vuole la guerra. Perché invece di correre al riarmo e sperperare miliardi per prepararsi a uccidere non ci "armiamo" di piccoli granelli di cuouscous e li facciamo piovere sul mondo?
"Qualche volta è accaduto che un granello di sabbia sollevato dal vento abbia fermato una macchina. Anche se ci fosse un miliardesimo di miliardesimo di probabilità che il granello, sollevato dal vento, vada a finire nel più delicato degli ingranaggi per arrestarne il movimento, la macchina che stiamo costruendo è troppo mostruosa perché non valga la pena di sfidare il destino" (Norberto Bobbio)
Se a questi piccoli granelli di pace aggiungiamo il "miscuglio" di ortaggi stufati, simbolo della bella stagione lucana, si ottiene un piatto glocale che rifiuta i confini e apprezza le differenze. Il peperone, col suo rosso iracondo, non si sente accerchiato dalla verde zucchina né l'ambrata patata si rifiuta di cedere la sua morbida terrosità all'altera cipolla: tutto si amalgama sotto il fuoco intelligente che perfeziona ogni singolarità per arricchire la pluralità.
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