Maratea, il pane San Biagio e i riti di fine inverno

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San Biagio, detto il Cristo di Maratea

 

Quanno arriva la Cannelora/ re la vernata simo fora./ Ma si chiove o mena viento/ quaranta iuorni re maletiempo. Candele e pane per celebrare i giorni che decretano la fine dell’inverno a Maratea: per prima venne Proserpina e la merla, poi la luce e infine San Biagio e ciascuno porta con sé un’offerta simbolica e gustosa

Maratea: prima fu la dea e le sue offerte, poi il dio e il suo Pane

Per prima cosa arriva la merla (29, 30 e 31 gennaio): lo  “spirito” di Proserpina entra in un uccello ed esce dal nido se le temperature sono miti, così come la dea della Primavera  lascia gli Inferi e sale in terra per renderla fiorita. Poi arriva la luce della Candelora  (2 febbraio) e infine il “pane” di San Biagio (3 febbraio).  Anche per me, quest’anno, i giorni della merla hanno portato in superficie una donna speciale che, come una novella Proserpina, ha reso “fiorita” una terra ancora avvolta  nel torpore invernale. Il suo nome è Rosa Maria Fabiano, alta, slanciata verso il cielo proprio come il suo collo alla Modigliani racconta di lei. Mistica e infera allo stesso tempo: una parte di lei è costantemente alla scoperta delle profondità infere e nascoste dell’animo umano, un’altra parte tende ad ascendere verso le stelle divine. E’ arrivata avvolta dal profumo marino della sua Maratea e si è vaporizzata in mille rivoli di storie e gusti.  Mi ha portata due gustose suggestioni su questi giorni di “passaggio” che vedono il cristiano San Biagio rubare la scena alla dea della primavera Proserpina e alla romana dea della purificazione  Februa. 

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Rosa Maria Fabiano, foto di Pino Laprea


Per prima fu la donna, colei che accoglie nel ventre, partorisce e genera frutto. Dea indiscussa del calendario lunare degli antenati e sotterranea energia che, dal giorno della merla in poi, cosparge dei suoi fertili liquidi la terra in procinto di fiorire. Poi fu il tempo della purificazione, con cerimonie lustrali durante le quali si svolgevano processioni alla luce di torce e candele ben accese in onore di Februa, a cui si sostituirà la festa cristiana della Purificazione di Maria. Secondo la legge ebraica, infatti, 40 giorni dopo la nascita di un figlio maschio, la madre doveva recarsi al tempio per “purificarsi” dal ritorno del sangue mestruale. Di questo tempo antico e dimenticato parla la “pupa” di San Biagio: era fatta con pasta di pane leggermente cotta in forno tanto da rimanere morbida , poi ricoperta con glassa di zucchero e rossa di ciliegia. Il nome è parlante: questa pasta di pane doveva avere una forma stilizzata di bambina. A me piace pensare che questa purpurea preparazione gastronomica era l’offerta alla dea che,  proprio come fa il menarca in una bambina, diventa fertile e irrora del suo sangue vitale tutta la terra. Dea della fertilità, della primavera, Dea Madre che porta in grembo la nuova stagione  e il frutto per il futuro, proprio come è stata per me la messaggera marateota, la donna uscita da una tela di Modigliani e sbarcata nel mio spazio. La fatalità vuole che porti anche i due nomi femminili per eccellenza: la radice del mare, Maria, e il fiore prezioso e spinoso della terra, Rosa. Chissà se anche lei officia riti sacri alla luce come, molto probabilmente, fecero le antiche sacerdotesse,  sacrificando offerte simboliche e propiziatorie al passaggio dall’inverno alla primavera:  penso che traccia di queste ritualità si possa trovare nei  “ravioli dolci al ragù di gallo”. Non è un caso che il gallo, nell’antica cultura europea, era considerato  da una parte un animale solare, che con il suo canto annuncia l’alba e scaccia i demoni notturni, dall’altra (soprattutto il gallo nero) un animale magico e rituale, vittima sacrificale per le potenze infernali.

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Maria Trifiglio e le sue Pupe di San Biagio, foto dell'archivio Biagio Calderano


Ricetta del "Ragù di gallo con ravioli dolci"


Ricetta tradizionale dei “ravioli dolci al ragù di gallo”, conservata  e trascritta da Biagio Calderano


Preparazione ragù

“Il gallo, animale da cortile, a Maratea è cucinato al ragù:

si prepara un impasto di pane raffermo con uva sultanina, olive nere, pinoli, capperi, pepe nero in polvere, tocchetti di provola abbondante e le interiora del gallo (intestini, fegato, cuore e polmoni), precedentemente sbollentate e tagliate a pezzetti; si amalgama il tutto con uova (albume e tuorlo) e si insaporisce con un bicchiere di vino.

Dopo aver fatto la base di soffritto in una grossa pentola, si aggiunge molto sugo di pomodoro, si riempie la carcassa del gallo dell’impasto e la si chiude per bene per evitarne la fuoriuscita, che noi chiamiamo “imbottitura”.

Si immerge il gallo, riempito dell’imbottitura, nel sugo di pomodoro e lo si lascia cucinare per almeno tre ore.

Il gallo si serve tagliato a piccoli pezzi e disossato, con l’aggiunta dell’imbottitura.

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Ragù di gallo e ravioli dolci, foto di Biagio Calderano



Il ragù ha un sapore leggermente dolciastro ed è utilizzato per condire i “RAVIOLI DOLCI”, che sono realizzati nel modo classico, salvo il ripieno che è fatto di:

1. 500 grammi di ricotta
2. n. 3 tuorli di uova
3. 200 grammi di zucchero e cannella a piacere

Si riempiono i ravioli con questo impasto, si immergono in acqua bollente e appena salgono a galla si scolano e si condiscono col sugo del ragù, aggiungendo del pecorino grattugiato, se gradito, altrimenti del parmigiano.

San Biagio e il pane che guarisce la gola

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Pane di San Biagio e olio benedetto distribuito ai fedeli

Se prima fu la dea e la primavera, secondo fu il dio, il calendario solare e gregoriano, dunque il cattolico e  terzo santo dal sacro timore invernale:  “Tre Sant fann’ paura: san Barbut, san Frecciut e San Cannarut”. I santi della paura e dell’inverno sono tre il barbuto Antonio Abate (17 gennaio), il “frecciuto” Sebastiano (20 gennaio) e quello legato al cannarozzo, Biagio (3 febbraio). 

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San Biagio a Maratea


San Biagio e le sue reliquie a Maratea hanno dato l’ultima spennellata al sincretismo delle cerimonie e delle offerte alimentari dedicate ai giorni della luce e del passaggio invernale. Non è un caso che con le stesse candele benedette alla Candelora  si offici la “benedizione della gola” per celebrare il santo protettore della “perla del Tirreno” proprio il giorno successivo. Come la luce purifica il cielo dall’aura invernale, così il fuoco del forno raffina il pane e la gola che ne viene attraversata. Pane benedetto, pane che ha attraversato le fiamme dell’antro oscuro e che ora attraversa la gola per dissolversi nel corpo e purificarlo da ogni male “Per l’intercessione di San Biagio, vescovo e martire, sii liberato dal mal di gola e da ogni altro male


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benedizione della gola con candele


E se il guaritore della gola ha il suo pane e la Proserpina della merla ha le sue Pupe,  di Maratea io non dimenticherò più la donna dal collo lungo e l’animo affamato di lunare diva  che a me giunse sotto il nome di Rosa Maria

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Rosa Maria Fabiano


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