Il vitigno lucano recuperato: l’Asprinio di Ruoti

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Asprinio di Ruoti, vitigno autoctono 

 

La vite maritata, un rinomato enologo e un vitigno autoctono da recuperare. Sono i tre elementi fondamentali dell’Asprinio di Ruoti: un pregiatissimo vino bianco frizzante, dissetante e profumato che accompagna bene tutto il pasto. Dal 2016, l’Asprinio è oggetto di recupero da parte di alcuni produttori locali e diversi enti pubblici, con l’obiettivo di ottenere l’iscrizione del vitigno ruotese nel registro nazionale delle varietà delle viti da vino. Questa buona pratica di valorizzazione della viticoltura, ma anche e soprattutto delle aree interne, ha preso il nome di “La vite, il vino, l’uomo e la storia”, il cui ultimo appuntamento di divulgazione è stato proprio Trivigno, all’interno dei progetti “GAL Percorsi

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Trivigno, ultimo incontro di "Gal Percorsi" dedicato all'Asprinio di Ruoti


La storia e il vitigno


La storia dell’Asprinio di Ruoti viene da lontano e i soggetti coinvolti nella sua riscrittura sono molteplici, dall’Agenzia Lucana di Sviluppo e di Innovazione in Agricoltura (ALSIA), al Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (CREA), al Comune di Ruoti fino all’ Istituto Superiore Istruzione Secondaria “De Sanctis–D’Agostino” di Avellino, senza dimenticare il ruolo cruciale dell’ l’Associazione Culturale - Recupero Tradizioni Ruotesi. Ma prima di tutti e di tutto vengono gli Etruschi e il loro tipico modo di allevare la vite: questa fruttifera rampicante selvatica veniva fatta crescere su alberi, fra le chiome degli aceri, dei pioppi e degli olmi. Mentre cresceva e saliva, il suo abbraccio si faceva sempre più stretto tanto da chiudersi in un matrimonio perfetto: la vite maritata. Maritata è anche la tradizione dell’Asprinio di Ruoti: un vitigno resistente agli attacchi della fillossera, grazie alla caratteristica di essere stato coltivato in terreni argillosi e sabbiosi, che spesso, ancor oggi si alleva su piede franco. Una spiccata acidità lo rende ideale per farne spumanti. Vite vigorosa e molto produttiva, che dà la sua massima espressione se coltivata ad “alberata”. A maturazione, presenta grappoli di media grandezza con acini dalla buccia grigio-verde e uva a bacca bianca a gradazione alcolica volumica minima di 10,50%.


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Michele Carlucci, enologo di Ruoti, foto ALSIA Basilicata


L'Uomo: Michele Carlucci

Ultimo elemento fondamentale della storia dell’Asprinio di Ruoti è l’uomo, anzi un uomo: Michele Carlucci, tra i maggiori enologi e viticoltori italiani del secolo scorso, nato e morto a Ruoti ma nel mezzo una carriera che comincia con la laurea in Scienze Agrarie a Portici e la successiva nomina di Assistente alla Cattedra di Botanica e Patologia Vegetale, tenuta dall'illustre Prof. Orazio Comes, fino Geisenheim, Klosternenburg, e infine a Conegliano per studiare le più importanti  scuole enologiche del tempo.  Infine, nel 1880 è incaricato di organizzare e dirigere la nuova Scuola di Viticultura e di Enologia di Avellino, che fà diventare il centro più importante di studi e ricerche vitivinicole dell'Italia Meridionale. Fondatore e direttore del periodico “Giornale di Viticoltura e di Enologia”, ha numerosi incarichi ministeriali fino al rientro nel proprio paese d’origine, dove muore nel 1951 alla veneranda età di 95 anni. A lui è dedicata la Scuola Media di Ruoti.  


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Asprinio di Ruoti spumantizzato

  

L’Asprinio di Ruoti, vitigno che rischiava l’estinzione e ora torna a nuova vita, ha una “personalità” molto simile agli uomini che abitano l’ambiente in cui si coltiva: nel nome “asperum” l’ “austero” e “rigoroso” matrimonio alle radici che lo sorreggono, capace di una produzione vigorosa, la cui spiccata “acidità” lo rende profumato e "spumeggiante".


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