L'anima del cibo

Maestro della Natura Morta Acquavella, Natura Morta con Violinista


L'anima del cibo e il suo valore simbolico

Se esiste un soffio vitale che nutre l’umanità fin dalla sua prima alba è sicuramente "l'Anima del cibo", un qualcosa di invisibile che si sposa con la materia e ci restituisce il gusto di essere uomini. Cuocere i frutti della natura , così come ci dicono gli antropologi, è un’attività che definisce l’essere umano, l’atto che segna l’inizio della cultura, secondo Claude Levi-Strauss.

Il cibo da sempre, consciamente o inconsciamente, ha sempre avuto un corpo, ovvero la materia di cui è fatto, e un’anima, ovvero lo spirito della mano che lo cucina. E' così che il cibo diventa anche l’anima di un popolo, un simbolo che lo rappresenta e lo racconta. Sumbolon in greco significa "qualcosa che unisce ciò che è stato diviso": il cibo e l’arte della sua cottura è appunto quel che maggiormente riunifica l'uomo alla Natura. Una natura ciclica, in cui ogni stagione ha la sua fase solare così come ogni stagione porta i suoi frutti. Ciclicità naturale che vuole la sua libagione e la sua offerta affinché possa avanzare nella maniera più prospera possibile. Ecco perché le preparazioni gastronomiche più significative si ritrovano nei momenti stagionali fondamentali: solstizi ed equinozi, ovvero nei passaggi astronomici che hanno sempre indicato il Tempo dal Cielo e la Vita all’umanità, così come in terra scandiscono il tempo le tavole dei battesimi, dei matrimoni e dei funerali. Un eterno nascere e morire così in cielo come in terra. Alcuni alimenti vitali hanno oltrepassato l’uomo per diventare le più importanti divinità del suo pantheon: sono tutti  delle divinità solari o creatrici, proprio come il grano per le civiltà mediterranee, il mais per il continente americano e il riso per i popoli asiatici. 

Caravaggio, Autoritratto come Bacco (Bacchino malato) Roma , Galleria Borghese

Il cibo e la cultura

Non bisogna pensare che la relazione tra l'uomo e la cucina, intesa come scatto evolutivo della specie, sia nuova o novecentesca. Già nel 1773, lo scrittore scozzese James Boswell, osservando la realtà e notando che nessun animale cucina, definì l'Homo Sapiens come "l'animale che cucina".
Dopo 50 anni, il primo gastronomo della storia Jean-Anthelme Brillant-Savarin affermò nel suo "La fisiologia del gusto" che è l'atto di cucinare ad aver fatto di noi quel che siamo: insegnando agli essere umani a usare il fuoco, esso aveva reso il servizio più importante per la creazione della civiltà
Più recentemente, nel 1964, Levi-Strauss affermò, ne "Il crudo e il cotto" che cucinare il cibo è l'attività simbolica che stabilisce la differenza fra gli animali e gli esseri umani nonché metafora della capacità dell'uomo di trasformare il crudo della Natura in cotto della Cultura.

“Maestro delle mele rosa”, Natura morta con frutta, fiori, rape, mele ed un cardellino, Marano di Castenaso, collezione Molinari Pradelli


Negli anni successivi altri antropologi sposarono l’idea che l’invenzione della cucina potesse essere la chiave di volta per scoprire la “qualità umana” che ha permesso il grande salto da una specie all'altra.
Qualche anno fa Richard Wrangham, antropologo e primatologo di Harvard, pubblicò "L'intelligenza del fuoco", in cui sostiene che a distinguerci dalle grandi scimmie e a renderci umani fu proprio la scoperta del cibo cotto, non solo per l’apporto energetico confluito al nostro sistema cerebrale, che ne ha determinato l’evoluzione e la crescita, ma anche per il risvolto sociale che il cibo cotto ha determinato: sedere insieme per mangiare, guardarsi negli occhi, condividere il cibo ed esercitare autocontrollo sono tutte azioni che, coi secoli, hanno formato quella che oggi definiamo società umana.

Cesto di pane, Salvador Dalì, 1926

"Il pane è sempre stato uno dei soggetti più feticisti e ossessivi del mio lavoro, quello a cui sono rimasto più fedele" (Salvador Dalì)

Pane antropomorfo, Salvador Dalì, 1932


“La mia pittura è gastronomica, spermatica, esistenziale” (Salvador Dalì)


Il pane e l’uovo sono i protagonisti nell’originale architettura del Teatro-Museo di Figueres, la tomba di Salvador Dalì. Il loro ruolo è esorcizzare la Morte attraverso l'esaltazione della Vita.


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